sabato 21 febbraio 2015

PRIMA DOMENICA DELLA GRANDE QUARESIMA (22 FEBBRAIO 2015)

Giovanni 1:43-51

 Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: «Seguimi». Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.  Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».  Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità».  Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico».  Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!».  Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».


COMMENTO

Ritorna ancora l’espressione “il giorno dopo” così preziosa per confermarci che la storia è l’orizzonte della fede. La fede non è una dottrina, ma è prima di tutto un’esperienza, personale e anche collettiva, nel senso che coinvolge le persone tra di loro: ognuno è “chiamato”, ma questa chiamata divina si dilata attraverso le relazioni tra le persone. Per questo anche le precisazioni di carattere geografico sono importanti, come qui “la città” di Andrea e di Pietro che è anche la città di Filippo e forse anche di Natanele. E continua la chiamata delle persone da parte di Gesù come da parte delle persone che Gesù ha chiamate, come continua la bellezza di quel “trovare” che ai vers.43 e 45 ha come “soggetti” lo stesso Gesù e poi Filippo che trova Natanaele e gli dice “Abbiamo trovato…”. Siamo stati trovati da Gesù e per questo lo abbiamo trovato.
Qui la vicenda del “trovare” si arricchisce con il riferimento diretto ed esplicito alle “Scritture”: Gesù è “colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i profeti”(ver.45). Di Scrittura Natanaele è un esperto, come vedremo in seguito. E per questo egli reagisce subito all’affermazione di Filippo, che di Gesù ha detto essere “il figlio di Giuseppe, di Nazaret”: “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?”. Mai nelle Scritture della Prima Alleanza Nazaret viene citata! Troveremo questa obiezione, estesa a tutta la Galilea, alla fine del cap.7. Come abbiamo già ascoltato dalle labbra dello stesso Gesù per la chiamata dei due discepoli del Battista al ver.39, ora Filippo dice a Natanaele: “Vieni e vedi”(ver.46). Ma scopriremo che in realtà sarà Gesù a “vedere” lui!
Al ver.47 infatti Gesù mostra di conoscerlo già, e bene! Natanaele rappresenta nella sua persona l’Israele fedele che attende il Messia. Così infatti si può interpretare quel suo essere “sotto l’albero di fichi” dove Gesù dice di averlo visto, una condizione che caratterizza nei profeti l’età finale della pace messianica e lo studio libero e appassionato della Parola di Dio. Tenete conto che per la tradizione rabbinica, Dio stesso studia la Scrittura, come segno della sua pienezza e della sua felicità. Tale “riconoscimento” da parte di Gesù porta Natanaele a riconoscerlo come il Messia che lui, esperto di Scrittura, attendeva. La competenza che gli faceva chiedere se mai qualcosa di buono poteva venire da Nazaret ora gli fa riconoscere Gesù come “il Figlio di Dio e il re d’Israele”. E’ dunque questo Israele fedele che in Natanaele viene chiamato e accolto.
E Gesù annuncia a lui – e a tutti: ”vedrete” – il compimento straordinario di quello che Le Scritture profetizzavano e che sarà pienamente manifestato. A Natanale che lo riconosceva come Figlio di Dio, Gesù annuncia: “Vedrai cose più grandi di queste”, cioè ben più profonde e vaste di quello che si poteva già dedurre dalle Scritture: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”. Viene qui ripreso l’antico sogno di Giacobbe in Genesi 28,12, per dire che con Gesù veramente il cielo sarà aperto e si vedranno gli angeli “salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”, cioè sul Figlio di Dio Figlio dell’uomo che con la sua Pasqua pone fine alla separazione tra il cielo e la terra e apre la comunione piena tra Dio e l’umanità. 

In questa prima domenica della Grande Quaresima dei digiuni nelle Chiese di tradizione bizantina si commemora il ristabilimento del culto delle iconi. In oriente, per più di cento anni, a partire dal regno di Leone Isaurico (717-741) e fino al regno di Teofilo (829-842), la Chiesa fu sconvolta dalla persecuzione degli iconoduli, i difensori del culto delle immagini, da parte degli iconoclasti, che volevano distruggere le immagini sacre.
L'origine della diatriba e del pensiero iconoclasta è da ricondurre al divieto di produrre immagini di Dio, come espresso nelle scritture dell'Antico Testamento (vedi: Esodo 20,4-5 e Deuteronomio 4,15-19), al disgusto provato da molti a causa dalla degenerata venerazione delle immagini, che in molti casi erano considerate veri e propri idoli e al rapporto con il nascente e dilagante Islam.
Dopo alterne e dolorose vicende, dove sostenitori e avversatori del culto delle immagini ebbero in mano il potere politico, nel 787 si giunse alle definizioni del Concilio II di Nicea, dove fu stabilito il principio che, con l'incarnazione del Verbo di Dio, Dio è diventato visibile, sperimentabile e quindi raffigurabile: con l'incarnazione del Verbo il divieto di non fare immagini di Dio è stato superato.
Ma una completa e definitiva soluzione della questione iconoclasta si ebbe con la morte dell'imperatore iconoclasta Teofilo, quando la sua vedova Teodora, dopo aver deposto il patriarca Giovanni Grammatico, convocò, assieme al figlio Michele e al nuovo patriarca Metodio,  per l'11 marzo 843 un sinodo a Costantinopoli, dove si ristabilì definitivamente il culto delle immagini sacre. La regina, dopo aver venerato l'Icona della Madre di Dio, davanti all'assise sinodale enunciò queste parole: "Se qualcuno non offre rispetto al culto delle sacre Icone, non adorando loro come se fossero degli dei, ma venerandole con amore come immagini dell'archetipo, sia anatema". In seguito, la prima domenica dei digiuni, lei e il figlio Michele fecero una processione con tutto il clero e la corte imperiale portando tra le mani le restaurate icone, che di nuovo furono poste nelle chiese per essere venerate.
Da allora le Chiese di tradizione bizantina nella prima domenica di Quaresima portano in processione le icone e proclamano il Synodicon, ossia una rielaborazione degli atti del secondo Concilio di Nicea. Questa domenica è detta dell'Ortodossia per il trionfo della vera dottrina sull'eresia iconoclasta che, distruggendo le immagini, negava l'incarnazione del Verb

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